La restaurata tela raffigurante la Trnsverberazione di Santa Teresa d’Avila del roveretano Domenico Udine Nani è una di quelle opere che testimoniano un’epoca e a loro modo fanno da spartiacque tra questa e la precedente. Quest’opera ha infatti segnato con evidenza il passaggio della Chiesa e convento di San Francesco di Prato dai francescani ai carmelitani.
I Carmelitani Scalzi presero ufficialmente possesso dell’antico Convento di San Francesco dei Minori Conventuali il primo gennaio 1819. A malincuore dovettero qui trasferirsi dal convento della Pietà e immediatamente intrapresero un percorso di riorganizzazione degli spazi – non solo conventuali – secondo le consuetudini tipiche del loro Ordine. Rispetto alla chiesa, fatti salvi i necessari interventi di manutenzione straordinaria, ottennero la conversione dell’intitolazione di alcuni altari ai loro santi principali. Il primo di questi interventi giunse proprio con la scelta di far realizzare una grande tela dedicata alla Santa riformatrice del Carmelo e loro patrona: Santa Teresa d’Avila.
Così documenta tutta la vicenda e analizza l’opera Elisabetta Rizzioli nella sua virtuosa monografia Domenico Udine Nani 1784-1850, Osiride, Rovereto 2003:
Il 9 dicembre 1819 venne sottoposto «alla Sovrana Approvazione il progetto di accordare sui resti del patrimonio Ecclesiastico amministrati dalla Pia casa dei Ceppi £ 160 per concorrere alla spesa del Quadro della Santa Fondatrice dell’Ordine dei Carmelitani Scalzi, da collocarsi nella Chiesa di S. Francesco da loro ufigiata»; «Essendo Priore di questo Convento il P.F. Ermenegildo di S. Luigi dal 1820 al 1822 fu terminato il quadro di S.Teresa, dipinto da Domenico Udine Pittore di credito e costò 100 Zecchini. fu posto con la cornice nell’altare detto del Crocifisso, e la miracolosa ed antica Imagine del Crocifisso, che vi era, fu levata, e messa nell’altare dell’Oratorio»; sei attestazioni autografe dell’artista, oggi raccolte in cinque fogli e conservate nell’Archivio di San Francesco in S.Paolino a Firenze, documentano i vari pagamenti ricevuti per l’opera, dal primo acconto per la commissione «d’un quadro che devo eseguire rappresentante la Trasverberazione di S.Teresa, ed il convenuto prezzo è di zecchini Cento», effettuato il 26 novembre 1819, al secondo, «zecchini venti acconto del quadro (…) che sto facendo», del 26 aprile 1821, fino al saldo conclusivo, riscosso il 21 gennaio 1824.
(…) Al di là dell’immenso realismo della resa cromatica ritrattistica (…) Udine, raffigurando la grande mistica spagnola fondatrice dell’ordine riformato delle Carmelitane e rappresentativa della religiosità della Controriforma, pare sensibilmente accostarsi alla sua accesa spiritualità; ne precisa la qualità di scrittrice mistica, centrandone la profondità umana che ne scaturisce e la natura della sua ispirazione: sull’inginocchiatoio, accanto al giglio, poggiato ad un teschio è dipinto un libro con le pagine aperte. Teresa, sorretta dalle braccia di un angelo elegantemente panneggiato, è sorpresa alla sua destra da un altro (la cui posizione sospesa, con li busto leggermente ruotato, sembra ricordare le statue classiche poste alle estremità dei timpani) che reca in mano un lungo dardo d’oro con la punta fiammeggiante – attributo già compreso nei consueti repertori iconologici – , rappresentazione del rapimento estatico della santa colpita dall’amore divino.
La traduzione figurativa della pagina teresiana, declinata con delicata finezza nel concorso delle varie componenti e nei suoi aspetti più significativi – la particolare esperienza interiore e la fisionomia intellettuale della santa – è resa dal Nostro con una singolare adesione a moduli baroccheggianti, con misura e compunzione che riflettono la sensibilità dell’epoca. Ambientando la trasverberazione all’interno di una semplice stanza, mentre in alto, fra nubi morbide e vaporose, due affettuosi angioletti assistono all’evento, Udine, pur ribadendo il perfetto fraseggio di un linguaggio devozionale, vi innesta una vistosa densità cromatica a stesure compatte che contribuisce a rendere umano l’evento soprannaturale. All’analisi perspicua dei passaggi intercorrenti fra i vari stati d’animo, l’artista sembra preferire una situazione di linguaggio assoluto in cui l’eloquio della santa pare non ignorare l’interlocutore, e rivolgere consapevole il proprio segreto applicato a realtà terrene e al silenzio contemplativo di Dio.
In seguito ai restauri della chiesa del 1904 l’altare che fino ad allora aveva ospitato questa grande tela venne demolito e questa riposta sulla parete interna del campanile, all’interno della Cappella Migliorati. Nel corso del Novecento spesso veniva issata al centro dell’altar maggiore in occasione della festa della Santa Carmelitana. Forse, anche a causa dei frequenti e macchinosi movimenti si è deteriorata così tanto da giungere a noi pressoché brandelli.
Non a caso potremmo dire che il quadro che si disvela oggi è un’opera d’arte inedita e appena scoperta. All’affidamento del restauro alla Piacenti Spa, nel 2017, lo stato conservativo poteva definirsi gravemente compromesso sotto molteplici aspetti, strutturali e funzionali, ma anche materici ed estetici. Era inoltre evidente il complesso quadro fessurativo che interessava tutta la tela tenuta ancora insieme da variegati strati sovrammessi di pezze in tessuto o altri materiali che nel tempo erano stati applicati sul tergo per sopperire all’allargamento delle lacerazioni del supporto. Tutto ciò era stato goffamente mascherato sul verso del dipinto da stuccature grossolane, rifacimenti e reintegri pittorici di scarsa qualità.
Il restauro, diretto dalla Dott.ssa Lia Brunori della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Firenze, Pistoia e Prato con il supporto tecnico della Dott.ssa Maria Rosaria Paternò ha richiesto tre anni di lavoro. L’opera è stata rintelata e foderata. E ciò ha consentito di recuperare le fasce perimetrali del dipinto – rimaste nascoste sotto una cornice posticcia e fermate con chiodi di ferro per decenni – conferendo all’opera oltre che un aumento di volumetrie, anche porzioni di scene dipinte celate da ritocchi e ridipinture. Importante è stato il ritrovamento, lungo il lato sinistro, del crocifisso raffigurato sopra l’inginocchiatoio. Sono finalmente emerse le cromie originali, le luci, gli incarnati, i complicati panneggi che conferiscono quella tipica scenicità neoclassica all’evento mistico e lo incorniciano solennemente rendendolo comunque animato. È emerso insomma, forse, il miglior Domenico Udine che conosciamo.
L’attuale collocazione poi è il frutto di alcune riflessioni pratiche e nondimeno liturgiche. Si è deciso di collocare l’opera – corredandola di una cornice in stile, finita a foglia d’oro – sulla parete sud della Cappella Regnadori. La posizione, seppur sacrificata sotto certi aspetti – considerata soprattutto la monumentalità della pala che ne rende opportuna la visione a una certa distanza – è il frutto di una triangolazione ideale tra la Santa stessa, il tabernacolo eucaristico e la finestra dalla quale entra la luce. Si è ritenuto opportuno quindi far rivivere anche liturgicamente quest’opera altrimenti destinata ad un contesto meramente museale. In un certo senso si è provato a darle nuovamente parola: è stato come darle di nuovo vita, così che possa continuare a rendere partecipe il fedele di un avvenimento sensazionale in cui l’Eterno ha incontrato l’umano in un’estasi amorosa e divina.
(Pubblicato su Artribune il 15 novembre 2020)